Non bisogna credere che distaccandosi dall’impianto condominiale di riscaldamento o di condizionamento centralizzato non si debba pagare più nulla al condominio. Certo, si pagherà molto meno di prima, perché i costi del combustibile e dell’energia saranno esclusi. E allora, in caso di distacco dall’impianto centralizzato, quali spese si pagano ancora?
Il fatto principale è che l’impianto di riscaldamento condominiale rimane sempre un bene di proprietà comune. Perciò, tutti i condomini – compresi quelli distaccati e passati al riscaldamento autonomo – devono sempre contribuire a determinate spese: in particolare a quelle di manutenzione, conservazione e sostituzione. Esistono poi i cosiddetti «consumi involontari», che incidono parecchio sulla bolletta periodica (talvolta arrivano al 30% della somma che si pagava prima del distacco). Essi consistono nel beneficio indiretto che l’appartamento trae dalle dispersioni di calore provenienti dall’impianto centralizzato.
Insomma, quando si abita in un condominio è bene sapere queste cose anche per valutare la convenienza o meno del distacco dall’impianto centralizzato. Adesso, vediamo in dettaglio quali spese bisogna ancora pagare nonostante l’avvenuto distacco dall’impianto centralizzato.
Distacco dal riscaldamento centralizzato: quando è ammesso?
L’art. 1118 del Codice civile stabilisce che «il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini».
Questa legge attribuisce ad ogni condomino la facoltà di distaccarsi dall’impianto comune – a condizione che ciò non ne pregiudichi il funzionamento e non aumenti le spese degli altri condomini – senza necessità di autorizzazione dell’assemblea.
Spese a carico di chi si distacca dall’impianto centralizzato
Il distacco dall’impianto centralizzato può essere un tema trattato anche dal regolamento condominiale, o da una delibera dell’assemblea. In questi casi il condominio potrebbe prevedere che il condomino distaccato, debba pagare una determinata quota delle spese di gestione dell’impianto centralizzato. Tale impianto infatti rientra per legge fra le «parti comuni dell’edificio» e, perciò, rimane, nel suo complesso, di proprietà anche di chi si è distaccato, per un valore corrispondente alla quota espressa nelle tabelle millesimali.
In base alla cifra della quota avviene, normalmente, il riparto delle spese, che può coinvolgere anche i condomini distaccati.
Spese impianto centralizzato: cosa deve pagare chi si è reso autonomo?
Lo stesso art. 1118 del Codice civile, dopo aver previsto la facoltà di ogni condomino di rendersi autonomo sia per il riscaldamento sia per il condizionamento, dispone che il rinunziante resta obbligato a pagare le spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma.
Dunque questa limitazione esclude chi si è reso autonomo dalle spese di esercizio e di funzionamento dell’impianto centralizzato: a partire dai consumi energetici e dai costi di acquisto del combustibile (gas metano, gasolio, carbone, ecc.), per arrivare ai vari costi di manutenzione ordinaria, come la pulizia periodica del bruciatore della caldaia, con l’esecuzione delle operazioni tecniche previste nel libretto d’impianto.
Viceversa, tra le spese di manutenzione straordinaria rientrano la sostituzione della caldaia e della centralina elettronica di accensione e spegnimento, ed anche, in caso di necessità, la riparazione dei tubi di distribuzione dell’acqua e di erogazione del calore, fino al punto di diramazione nei singoli appartamenti: sono spese necessarie alla conservazione dell’impianto. La messa a norma riguarda l’adeguamento dell’impianto alle nuove disposizioni normative e tecniche che periodicamente vengono emanate.
Consumi involontari: come si addebitano ai condomini distaccati?
Il regolamento condominiale o le delibere assembleari potrebbero prevedere l’attribuzione di una quota di «consumi involontari» a carico dei condomini distaccati dall’impianto centralizzato.
Il consumo involontario deriva, essenzialmente, dalle inevitabili dispersioni di calore provenienti dalla caldaia e dalla rete di distribuzione: quando l’impianto centralizzato è acceso, l’acqua calda continua a passare attraverso i tubi e si dirige verso gli appartamenti rimasti allacciati, dai quali un po’ di calore si irradia nei locali divenuti autonomi: anch’essi, quindi, beneficiano indirettamente di un sia pur piccolo innalzamento della temperatura dell’edificio.
Il calcolo dei consumi involontari per ciascuna unità immobiliare avviene secondo i criteri tecnici stabiliti dalla normativa UNI 10200, che considerano le caratteristiche dei locali ed i rispettivi coefficienti di dispersione termica; se gli appartamenti sono dotati di misuratori interni di calore, la quantificazione del consumo involontario deve tenere conto delle «potenze termiche» presenti negli ambienti interessati. Di solito, a questi complessi calcoli provvede un tecnico incaricato dal condominio, che deposita la sua relazione asseverata in assemblea, per l’approvazione.
Una volta quantificato, il riparto delle spese di consumo involontario tra i condomini avviene secondo le previsioni stabilite nel regolamento condominiale approvato all’unanimità da tutti i condomini, o, in mancanza, in base ai consueti valori millesimali. Si può quindi attribuire ai condomini la loro quota di consumo involontario anche in misura percentuale, rapportata ai millesimi di proprietà. In definitiva, anche secondo l’orientamento della Cassazione, il condomino distaccato non può non pagare la sua quota parte di consumi involontari, nemmeno se dimostra di aver tagliato i tubi.