Il fatto di non avere adempiuto alla propria obbligazione non basta per far scattare la responsabilità del progettista.

Per essere accusato di negligenza, il professionista deve avere causato un danno concreto al committente. Quindi perché subentri la responsabilità professionale c’è bisogno che l’errore sia grave e foriero di pregiudizi.

Lo conferma il Tribunale di Pisa con la sentenza n. 1501 del 30 novembre 2022.

Ciononostante, se un tecnico professionista, all’interno del progetto, non prevede il rispetto delle distanze legali, compie un grave inadempimento che giustifica la risoluzione del contratto. Approfondiamo il caso.

L’azione di responsabilità professionale

La società committente citava in giudizio l’architetto progettista di alcuni immobili a uso residenziale accusandolo di un grave inadempimento per negligenza e imperizia del professionista nella redazione del progetto commissionatogli in ragione della violazione della normativa urbanistica.

A peggiorare l’inadempimento, ci sarebbe stata, da parte del professionista, la mancata richiesta di nulla osta di Rete Ferroviaria Italiana necessaria per l’esecuzione dell’intervento edilizio, dalla quale sarebbe derivato un ritardo nell’ottenimento del Piano di Recupero e del Permesso di Costruire.

Il committente chiedeva pertanto la restituzione dell’acconto già versato e il risarcimento dei danni causati dalla condotta negligente.

La responsabilità da contratto d’opera intellettuale

Il giudice toscano precisa che le norme sulla responsabilità contrattuale, che si applicano sui contratti d’opera intellettuale, fanno sì che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per l’adempimento o per il risarcimento del danno debba solo provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte. Al contrario, il debitore deve provare l’avvenuto adempimento.

La gravità dell’inadempimento del tecnico progettista

Alla domanda di risoluzione per inadempimento, consegue un’indagine sull’importanza dell’inadempimento. Cita infatti l’art. 1455 cod. civ.: «Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra».

Si può quindi affermare che la responsabilità del tecnico progettista non dipende solo dal mero inadempimento alla propria obbligazione, ma deve comunque essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale.

A tal proposito la giurisprudenza ritiene che l’architetto, l’ingegnere o il geometra, che ha il compito di redigere un progetto di costruzione o di ristrutturazione di un immobile, ha l’onere di presentare un progetto concretamente utilizzabile sia da un punto di vista tecnico che giuridico.

Per questo il tecnico è tenuto ad assicurare la conformità del progetto alla normativa urbanistica vigente e ad a seguire correttamente la procedura amministrativa, così da evitare problemi che possano condizionare la realizzazione dei lavori richiesti dal committente (Cfr. Cass., sent. n. 18342/2019).

La violazione delle distanze legali rappresenta un tipico grave inadempimento contrattuale del progettista, al quale il committente si affida convinto di poter contare su un progetto conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.

Il committente ha diritto di pretendere dal professionista un lavoro eseguito a regola d’arte: la irrealizzabilità dell’opera per erroneità o inadeguatezza del progetto costituisce inadempimento dell’incarico e consente al committente di rifiutargli il compenso, o di chiederne la restituzione (Cfr. Cass., sent. n. 1214/2017).

È grave l’inadempimento dell’architetto per violazione delle distanze legali

Nel caso affrontato dal Tribunale di Pisa, la società committente ha accusato il progettista di violazione della normativa urbanistica, poiché in base al progetto, si sarebbero realizzati immobili illegittimi, collocati a distanza non regolamentare dai preesistenti immobili e occupanti parte di un marciapiede pubblico.

L’errore di progettazione  è stato riconosciuto e accertato: dalla relazione peritale è infatti emerso che il progetto, così come concepito, non era immediatamente realizzabile per via del mancato rispetto delle distanze legali.

Il perito d’ufficio ha quindi concluso che il progetto non appariva immediatamente realizzabile ma bisognoso di una variante, i cui costi si quantificano in euro 15.000,00.

Preme inoltre evidenziare che i costi della variante, anche fossero contenuti, non inciderebbero sulla misura di gravità dell’inadempimento: l’architetto avrebbe dovuto informare ed elaborare alternative per il committente.

Sulla base di tali presupposti è stato accertato il grave inadempimento del professionista incaricato ed è stata accolta la domanda di risoluzione del contratto d’opera professionale.

Il committente non deve alcun compenso per l’attività prestata, gli spetta invece la restituzione della somma già versata a titolo di acconto, oltre al risarcimento dei danni.